Newsletter
Nr. 03 - Gennaio 2008

SOMMARIO

  1. non c'è due senza tre. al terzo numero il tema è "l'incontro". L'albo degli ex carducciani? non solo autointerviste... (di Luca Siani)
  2. "Notturno italiano" di Natale Addamiano. ARTE E AMORE a San Valentino con una coppa di spumante (offerta gratuitamente) sulla romantica terrazza di Porta Venezia solo per gli ex Carducciani e loro "morosi/e". (di Luca Siani)
  3. ancora sul prof. Minari (di Gabriele Montella)
  4. il romanzo "Bacteria" (di Paolo Giacomoni e Maurizio Ricci). 1° capitolo: "Domenica notte"
  5. "La Bella Immagine" (AAVV). L'incipit del saggio "La Sfera e il Testo" (di Luca Siani)

gentile carducciano,
ecco il numero 3 della newsletter degli ex liceali di via Beroldo

La Newsletter carducciani@okgiocacon.it attende i tuoi contenuti, opinioni e domande...
Attendiamo comunicazione di tue iniziative culturali, professionali, e ludiche.


1. non c'è due senza tre. al terzo numero il tema è "l'incontro".
l'albo degli ex carducciani? non solo autointerviste...
(di Luca Siani)

La nostra amica Carla Bisi Castellani ci ha proposto sullo scorso numero della newsletter un albo professionale degli ex carducciani; un luogo virtuale deputato a possibili incontri fra gli attuali studenti del Carducci e gli attuali universitari (ex carducciani), da una parte, con chi si è già scontrato per anni con il sudore per la "pagnotta" e per la realizzazione del proprio "io" professionale, dall'altra.

L'idea non ha fatto concreti passi in avanti, però forse è stata ispiratrice delle autointerviste apparse sul sito della nostra associazione. Le autointerviste inoltre potrebbero anche essere il miglioramento (non ancora esaustivo) della vecchia idea di database per incontri che proprio la nostra newsletter aveva lanciato per gioco.

Insomma, dopo avere apprezzato gli sforzi che stanno dietro alle autoanalisi di alcuni ex, sono qui a chiedere di migliorare tecnicamente la possibilità di intervista con un modello di campi e record compilabili e modificabili in qualsiasi momento direttamente sul sito; di continuare a partire da queste "confessioni" per procedere verso il succitato albo professionale in modo più chiaro (maggiore spazio alla descrizione del proprio lavoro); eventualmente di indicare in modo delicato, laddove non fosse chiaro, anche lo stato affettivo delle persone in gioco, con la loro predisposizione a incontri e/o anche organizzazione di serate amicali a base di cinema, pizza, ristorante, teatro, ballo, mostre, sport, ecc...

La nostra newsletter arriva oggi al suo terzo numero, ma è necessario riconoscere il bisogno che essa ha di contributi grafici e umani per potere continuare. Non costa nulla, nessun denaro, ma il tempo e la voglia di mettersi in gioco con scritti e idee (su occasioni da passare insieme, da estendere...), questo sì deve essere nutrito da qualcun altro di noi! è una simpatica richiesta: se desiderate che l'associazione possa vivere anche al di fuori del forum (forum che ritengo assolutamente necessario), del sito (idem) e delle occasioni istituzionali (idem), questa può essere una strada. attendiamo i vostri contributi... anche con vostre poesie, "pensierini", "temi", lettere d'amore, recensioni, ecc... del vostro e nostro passato e presente


2. "Notturno italiano" di Natale Addamiano.
ARTE E AMORE a San Valentino
con una coppa di spumante (offerta gratuitamente) sulla romantica terrazza di Porta Venezia solo per gli ex Carducciani e loro "morosi/e". (di Luca Siani)

a Milano, alla Casa del Pane - Casello Ovest di Porta Venezia (corso Venezia 63 con ingresso da Piazza Oberdan) è aperta fino al 17 febbraio la mostra (patrocinata dalla Provincia di Milano) NOTTURNO ITALIANO: La Pittura e le Città della Poesia di Natale Addamiano

tutti i giorni, escluso lunedì 11 febbraio (di chiusura), l'ingresso è libero dalle 10.00 alle 19.00 (orario continuato). Giovedì 14 apertura straordinaria della mostra e della terrazza del Casello fino alle ore 22.00.

sempre Giovedì 14 febbraio è previsto alle ore 19.00 un INCONTRO aperto a tutti con l'ARTISTA e il curatore della mostra...

alle ore 19.30 solo per chi ha seguito la visita guidata e alle ore 21.00 SOLO PER GLI EX CARDUCCIANI E LORO "MOROSI/E": un BRINDISI CON UNA COPPA DI SPUMANTE (OFFERTA DALLA CASA DEL PANE) SULLA SPLENDIDA TERRAZZA DEL CASELLO DI PORTA VENEZIA PER FESTEGGIARE SAN VALENTINO E L'ANNUALE PROMESSA D'AMORE. In caso di maltempo la coppa verrà offerta in uno degli splendidi "angoli" interni della Casa del Pane - Casello Ovest di Porta Venezia.

Notturno Italiano, progettata e prodotta da Eldec Spa (www.eldec.it) e organizzata dall'Associazione Culturale 365 gradi, presenta, in oltre 80 tele (di piccolo e grande formato) di Addamiano (www.addamiano.com), paesaggi notturni di città e paesi italiani che si materializzano in appunti di viaggio pittorici: Torino, Milano, Bergamo, Brescia, Verona, Vicenza, Venezia, Padova, Cortina, Genova, Reggio Emilia, Bologna, Firenze, Siena e, poi, Roma Napoli, Macerata, Ancona, Molfetta, Modica, Palermo, Taormina, Siracusa, Cefalù. Città e panorami urbani catturati nell'attimo dell'imbrunire, vedute di tetti e cupole che s'incendiano di rosso nel fuoco del tramonto, monumenti e finestre illuminate nella notte fonda, riflessi di lampioni nell'acqua dei fiumi che cedono i propri colori sopraffatti dall'avanzare di un buio trafitto di stelle e di luci. Una pittura capace di coniugare l'attualità a intensi valori tradizionali.

L'esposizione presenta un ciclo di dipinti straordinariamente composti e compiuti, che si muovono sul terreno dell'intensificazione lirica. Sono "cose" accompagnate da un avvertito sentimento fatto di suggestioni interiori, di osservazione del vero, di metafore e suggestioni visive impalpabili eppure eloquenti e incantevoli: versi poetici in forma d'immagine, misteriosamente e suggestivamente affascinanti.

Come ha scritto Giorgio Seveso, curatore della mostra, "Addamiano ha messo ormai saldamente le mani su una misura interiore del dipingere oggi assai rara, che rimanda a una vera e propria filosofia della pittura, a una poetica del rappresentare capace di contestare la nostra pigrizia di osservatori distratti e di sorprendere ogni nostra sbrigativa abitudine del vedere ciò che ci circonda, trasformando un panorama cittadino - palazzi, lampioni, ponti e strade, prospettive e lontananze - in un'assorta scenografia di silenzi felpati eppure crepitanti di verità vitali e di emozioni autentiche."

per info: tel. 02 74281344; comunicazioni@casadelpane.net; www.casadelpane.net


3. ancora sul prof. Minari
(di Gabriele Montella)

Accetto volentieri la provocazione di Bottà a ricordare episodi di quella persona straordinaria che è stata il prof. Minari.

Quarta ginnasio. Prime lezioni. Il professore di ginnastica è ancora per me un emerito sconosciuto.
Per creare una sana competizione il professore propone una gara a cronometro sul più veloce alla pertica.
"Primo premio .... UNA GOLIA" che tira fuori dalla tasca e alza come il prete con l'ostia.

Evidentemente mi scappa un sorriso perchè lui mi si avvicina, fissa i suoi occhi nei miei a distanza di dieci centimetri e mi sibila: "Quando tu vincerai una mia golia potrai dire di essere un uomo, non prima!".
Abbasso gli occhi, tento di vincere quella golia ma non ci riesco.
Ne vinsi solo una in cinque anni, mi sembra in seconda liceo.

Altro episodio: nello spoglatoio, dopo una lezione faticosa in primavera inoltrata. L'aria è resa olfattivamente "pesante" dai sudori sportivi. Il prof, si mette a girare per lo spogliatoio spruzzando uno spray dedodorante gridando "Lavatevi al mattino, anche dove il prete dice di non toccarvi!".
Era fatto così!

Altro piccolo flash:
Quando individuava un "bullo" in una classe, lo ridimensionava agli occhi della intera classe proponendo ai ragazzi una gara con il "bastone di Jeagher": si trattava di tenere a braccia tese avanti al petto una sbarra di ferro del peso di pochi etti; all'inizio pesava oggettivamente solo qualche etto ma via via .... il peso diveniva insopportabile per una nota legge della fisica.
Il "bullo" ricorrentemente perdeva, spesso di fronte ad un ragazzo mite ma di carattere (quello vero).

Erano i suoi metodi, che venivano dal buon senso e da un grande amore per i suoi ragazzi.

Gabriele Montella, maturità 1966, sezione A.


4. il romanzo "Bacteria"
(di Paolo Giacomoni e Maurizio Ricci)

1° capitolo: "Domenica notte"
edizioni Gialli Mondadori in vendita in edicola

Gli avvenimenti si svolgono a Parigi, nell'aprile di uno degli anni a cavallo del cambio di secolo

Domenica - notte

Félicien Leroux si chinò a scrutare attentamente l'ampolla di vetro.
Appoggiò una mano sul tavolo e posò il palmo dell'altra sul filtro-tampone in equilibrio in cima al recipiente.
Delicatamente, spinse il palmo verso il basso.
All'interno, il liquido scuro gorgogliava, mentre il tampone spingeva la polvere nera verso il fondo.
Compiuta l'operazione, Leroux si raddrizzò con un piccolo sospiro, si girò per rimettere il bollitore in cui aveva scaldato l'acqua sul ripiano dietro di lui e prese una tazza per il caffè. Aveva visto Michael Caine fare il caffè in quel modo, in un film di molti anni prima, con lentezza e concentrazione, come per un esperimento di alta biochimica. Quando, in vacanza a Copenhagen con la moglie, aveva visto lo stesso aggeggio di Michael Caine in una vetrina, si era precipitato a comprarlo, ricambi compresi. Da allora, tutte le volte che si faceva il caffè in ufficio, estraendo con l'acqua bollente caffeina ed altri aromi dalla polvere di caffé, pensava alla caffettiera come ad un arcano alambicco e alla preparazione della sua tazzina come ad un delicato procedimento di estrazione di sostanze biochimiche. Vero è che, a parte la lettura di qualche rapporto, quel caffè era la cosa più vicina alla biochimica di laboratorio cui fosse mai arrivato.
- «Mesnel» disse ad alta voce, prendendo un'altra tazza.
Dall'ufficio accanto si sentì il rumore di una sedia scostata dalla scrivania.
- «Arrivo, ispettore» disse una voce fonda.
Ma dalla porta non entrava nessuno. Leroux aspettava pazientemente in piedi, con le due tazze fumanti in mano. Sentì sgranarsi il rosario di una stampante e, qualche secondo dopo, la sagoma corpulenta di Mesnel entrava nell'ufficio.
- «E' arrivato l'incartamento»? chiese Leroux.
Se Mesnel guardò l'ispettore con rassegnata sopportazione, fece bene attenzione ad evitare che la rassegnata sopportazione si intrufolasse nel suo sguardo disciplinatamente compito. Da anni, tutta la documentazione al Quai des Orfévres girava su file e computer. Tutto quello che Mesnel aveva dovuto fare era stato accendere il terminale e andare a vedere nella banca dati. Ma l'ispettore parlava ancora come se si lavorasse su polverosi dossier, portati su dallo scantinato da qualche ragazzotto appena reclutato. Una pura e semplice posa, si capiva benissimo: in fondo l'ispettore era entrato in polizia quindici anni dopo di lui, e aveva solo 40 anni. Insopportabile. In più, il caffè dell'ispettore era troppo lungo e gli faceva venire acidità di stomaco.
Mesnel, comunque, disse solo: «Sì». E cominciò a leggere.
- «Igor Suslov».
- «Mmhmh» lo interruppe il grugnito meditabondo dell'ispettore.
- «Anni 34».
- «Mmhmh» si sentì ancora dalla sedia di Leroux.
Mesnel decise di non fare più caso ai grugniti.
- «Nato a Minsk, in Bielorussia, immigrato in Francia quattro anni fa, con regolare permesso di studio, poi tramutato in permesso di lavoro. Celibe. Niente a suo carico. Laureato in biochimica».
- «In biochimica? Come dire chimica biologica?»
L'ispettore era sull'orlo della sedia.
- «Dipendente della Azofix, un laboratorio specializzato in biotecnologie».
- «Biotecnologie?».
Leroux era in piedi, il corpo minuto che vibrava come quello di una faina che ha intravisto un uovo nel buio di un pollaio. Almeno, prima che le galline venissero rinchiuse in contenitori d'acciaio e le uova cominciassero a circolare su nastri trasportatori, circondate da apparecchiature ad alta tensione.
- «Mesnel, hai presente i cinesi?»
Da settimane, tutte le riunioni al Quai des Orfèvres iniziavano con l'allarme lanciato dall'Interpol su una banda internazionale che reimportava in Europa, dalla Thailandia (dove i brevetti delle case farmaceutiche non valgono) medicinali anti-Aids a basso costo per smerciarli di contrabbando, in Francia, in Germania, in Inghilterra, in Italia. E negli Stati Uniti, naturalmente. Era una affare da milioni di euro. Almeno, questo è quello che dichiaravano di perdere le case farmaceutiche, visto il prezzo regolare degli stessi medicinali in Europa. Le case farmaceutiche avevano alzato un canaio con il ministero dell'Interno, che, a sua volta, aveva alzato un canaio con la centrale di polizia, che aveva messo sotto pressione tutto il personale. Tutti erano convinti che si trattasse di cinesi. E, finora, l'unica mossa concreta era stata quella di perquisire a tappeto i frigoriferi dei ristoranti cinesi, per il momento, senza risultati. Leroux era felice di esserne rimasto fuori e di non aver dovuto sbirciare in prima persona i segreti della cucina cinese, in retrobottega che immaginava lerci e puzzolenti. Ma, adesso, aveva per le mani un biotecnologo morto in circostanze misteriose. Bielorusso, per giunta. E se dietro alla storia dell'Aids, invece della mafia cinese, ci fosse stata la mafia russa? (O bielorussa, che differenza fa?). E questo Suslov, magari, poteva essere l'anello chiave.
- «Il primo rapporto dice che l'uomo è morto poco dopo le 20. Perché il dottor Igor Suslov, laureato in biochimica, bielorusso, - domandò Leroux - attraversa Place de la Concorde sotto la pioggia, per andare a passeggiare lungo la Senna, su una banchina dove, a quell'ora, di solito, di domenica non passa nessuno?»
Mesnel non ritenne necessario tentare una risposta.
- «E perché si trascina dietro una borsa da viaggio? Dove andava?»
Stavolta, Mesnel sapeva cosa dire:
- «A Minsk.  Nella tasca del cappotto c'era un biglietto aereo. Stamattina, volo Lufthansa delle 6,50, con coincidenza a Francoforte».
- «Sei e cinquanta, eh? Dunque, in aeroporto per le 5 e mezza. Un'ora per arrivarci da Parigi. Perché ha già la borsa? Perché non pensa di ripassare da casa. E dove pensava di passare le sette-otto ore che gli restavano, visto che non sapeva che lo avrebbero ammazzato? Oppure, ha comprato il biglietto e poi ha deciso all'improvviso di mettersi il cappotto, prendere la borsa e andare ad ammazzarsi sulle scale della Senna?»
- «E la Azofix? - riprese dopo un attimo Leroux - Avrà un titolare. Sentiamolo subito». Mesnel colse al volo l'occasione per posare la tazza di caffè ancora piena sul tavolo e si affrettò verso il suo telefono.
 
- «Aids», cominciò, secco, Leroux.
La mascella di Jacques Grifalconi cadde di almeno tre centimetri e restò a penzolare nel vuoto. Negli ultimi mesi, aveva cominciato a dormir poco e male. Troppo nervoso. Ma, quando riusciva a dormire, cadeva in una sorta di coma. Il telefono doveva aver squillato a lungo per arrivare al suo cervello. In questo stato di avanzato rimbecillimento, aveva capito solo che in linea c'era la polizia, che il suo collaboratore Igor Suslov aveva combinato qualcosa di sconveniente e che lo volevano al Quai des Orfèvres. La rabbia montante gli aveva dato  l'energia per muoversi dal letto.
«Che cavolo può aver fatto, perdio, quel maledettissimo traditore prezzolato? Si sarà riempito di vodka e sarà andato in giro a tastare il culo alle puttane» aveva imprecato, mentre cercava a tastoni il maglione. «Ma figuriamoci. Troppo occupato a reggere la coda a qualsiasi arrampicatore sociale transiti nei paraggi. E perchè tira in mezzo proprio me?»
Alla fine, aveva deciso che, per trovare anche l'altra gamba dei pantaloni di velluto, aveva bisogno di accendere la luce, aveva finito di vestirsi e rinunciato con rimpianto al caffè. Aveva anche tenuto duro sulle sigarette: mai di mattina. Quando gli era venuto in mente che era l'una di notte e che la sigaretta poteva essere considerata l'ultima della sera, era troppo tardi: stava entrando al Quai des Orfèvres. A quel punto la rabbia era già sbollita e Grifalconi era soprattutto intimidito. Entrando nell'ufficio di Leroux, aveva tirato a mezzo fuori dalla tasca del suo giubbotto jeans il pacchetto di gitanes, interrogando con lo sguardo l'ispettore. Ma Leroux non aveva nessuna intenzione di permettergli di fumare e glielo aveva fatto capire, aggrottando appena le sopracciglia.  Grifalconi aveva rimesso in tasca il pacchetto e si era disciplinatamente seduto sulla sedia di plastica davanti alla scrivania, massaggiandosi il cuoio capelluto e lisciandosi i capelli neri a spazzola. La rabbia era scomparsa: quello che sommamente desiderava era dimostrare il massimo spirito di collaborazione, come uno studente al primo esame di università. Ma se si cominciava così, maledizione, cooperare diventava davvero difficile: che c'entrava l'Aids? Si strofinò di nuovo, avanti e indietro i capelli neri, a spazzola, come faceva sempre quando non sapeva come comportarsi:
- "Come...Aids"?
- "Cosa sa lei dell'Aids?" incalzò Leroux.
- "Be' - tentò Grifalconi - bisogna partire dai....Lei sa cosa è un retrovirus?"
- "Ma quale retrovirus - lo interruppe l'ispettore - lasci perdere i retrovirus. Lei ha lavorato sull'Aids?".
- "Uhm...sì, all'istituto Pasteur, subito dopo l'università".
- "Lasci perdere anche l'università. Io dico adesso: lei non è proprietario di un laboratorio di biotecnologia, che si chiama Azofix"?
- "Sono il responsabile scientifico. Ma la proprietà è a metà con una società di venture capital americana, che si chiama France Capital. Comunque, noi ci occupiamo di cosmetica e di agricoltura, lavoriamo su geni e batteri. L'Aids, le assicuro, è un altro mestiere".
- "Quindi, lei può escludere che il suo collaboratore Igor Suslov lavorasse sull'Aids"?
- "Certo che non ci lavora. Se ci prova lo faccio secco".
Leroux gli diede una lunga, pensierosa occhiata. "Vuol dire che lei aveva il completo e costante controllo su tutto quello che Suslov faceva in laboratorio"?
- "Be', no, Igor fa anche qualche lavoretto, diciamo, indipendente. Roba di cui io non mi voglio occupare. Perchè è noiosa, ecco, ripetitiva. Ma sempre ricerche nel nostro campo: cosmetica, fertilizzanti. L'Aids, glielo ripeto, è un altro mestiere. Altre apparecchiature, altre specializzazioni. Ma chi le ha messo in testa queste stupidaggini? Igor?"
Leroux abbozzò un risolino.
- "Difficile", disse. "Negli ultimi tempi ha sentito il dottor Suslov parlare al telefono, in laboratorio, con russi o, magari, cinesi?"
- "Non ho sentito Igor parlare con nessuno. E' un tipo piuttosto riservato".
- "Nelle ultime settimane, ha potuto notare un movimento anomalo di pacchi nel suo laboratorio? Confezioni, diciamo, farmaceutiche? Chi tiene il controllo dei movimenti di materiale? Lei?"
- "Ma cosa crede che siamo, un dock del porto? Certo che tengo io il controllo del materiale. Tutto quello che entra ed esce dal laboratorio - rispose Grifalconi -  è accuratamente registrato, fino all'ultimo micron. Insomma, milligrammo. Se vuole - gli sembrava opportuno aggiungere una piccola bugia - glielo posso recitare dall'inizio alla fine. E non ci sono pacchi strani". Per quanto ne sapeva, l'ultima cosa era vera.
- "Controlleremo i suoi registri".
La faccia di Leroux era andata rabbuiandosi, man mano che l'interrogatorio procedeva e, adesso, l'ispettore aveva l'aria depressa. Il ritmo delle domande calò e Grifalconi ne approfittò per piazzare la sua:
- "Posso finalmente sapere cosa ha combinato Igor"?
- "Lui? Niente. O tutto, dipende da come la vede. E' morto".
- "Morto? Ma è ridicolo! L'ultima volta che l'ho visto stava benissimo".
- "E probabilmente è stato in ottima salute fino all'ultimo secondo, prima di sfracellarsi la testa. Ieri sera, alle 20 circa, sui gradini che scendono al fiume da Place de la Concorde".
 "Non può essere lui".
- "E'stato già riconosciuto, con certezza, nonostante le deplorevoli condizioni del cranio. Dal portiere del palazzo in cui abitava".
Grifalconi tributò un silenzioso omaggio all'intrepido portinaio. Aveva cominciato la sua vita di laboratorio, vent'anni prima, squartando rane, al ritmo anche di 200 al giorno. Ma nessuna rana aveva lavorato, fianco a fianco con lui, per più di un anno e non era sicuro che si trattasse, comunque, di un allenamento sufficiente a esaminare spassionatamente il cranio spappolato di Igor.
"Come sia volato giù, se spinto da qualcuno o si sia buttato, ancora non sappiamo" stava proseguendo Leroux. "Le risulta che il dottor Suslov coltivasse propositi suicidi?"
- "Chi? Igor? Ma neanche per idea. Non era un tipo allegro. Ma era molto determinato. Puntava in alto".
- "In alto, in che senso?"
- "La carriera. Voleva diventare famoso. Non ne ha mai fatto mistero. L'Azofix era solo un gradino su cui fermarsi per un po'".
- "Brutta metafora, dottor Grifalconi: lasci perdere i gradini, che hanno un altro posto in questa storia. Quello che lei dice del suo collaboratore, però, è interessante. E le risulta che il dottor Suslov stesse per intraprendere un viaggio?"
- "Igor? Lasciandomi nella merda.... sì, insomma, nei guai con il lavoro in laboratorio? Niente affatto. Perchè me lo chiede?"
- "Nulla. Solo un'idea. Ne parleremo ancora, probabilmente".
Leroux si era alzato in piedi. Si assicurò che Grifalconi non avesse in programma di lasciare la città nei prossimi giorni, annunciò che sarebbero venuti a fare una visita all'Azofix.
- "Non subito, purtroppo, ho ragione di credere. Stiamo conducendo un'indagine importante, una grossa operazione e siamo tutti un po' presi. Comunque, stia sicuro che la polizia farà per intero il suo dovere per accertare i fatti ed eventuali responsabilità".
 
Sul marciapiede davanti alla centrale di polizia, Grifalconi tirò un profondo sospiro, prese il pacchetto di gitanes e se ne accese una. Alla terza tirata si rese conto di quello che stava facendo e la buttò via. Non perchè avesse deciso che non era l'ultima della notte, piuttosto che la prima della giornata, ma semplicemente perchè odiava fumare guidando. Andò verso la macchina. Igor. Morto. Suicida. Oppure ammazzato, che è anche peggio. Peggio, perché sollevava un mucchio di domande senza risposta, non perché della sorte di Igor gli importasse poi molto. Non gli era sembrato il caso di dirlo all'ispettore, ma più volte era stato sul punto di strangolarlo con le sue mani e non lo aveva fatto solo perché Igor aveva degli occhi particolarmente cattivi.

Il punto, ecco, era che Igor era entrato nel suo laboratorio, senza che Grifalconi l'avesse veramente scelto. E questo, nel bilancio psicologico, andava segnato al passivo. In un laboratorio scientifico, la relazione fra capo e collaboratore, aveva sempre sostenuto Grifalconi, non è quella fra datore di lavoro e impiegato. Semmai, quella tra artigiano e apprendista. Il capo laboratorio, in generale, ne sa più dei suoi collaboratori (un punto che Grifalconi non si stancava mai di sottolineare con pignoleria), ha passato tempo a sviluppare un progetto di ricerca, ha trovato i soldi per finanziarlo, per comprare strumenti che costano un occhio. Il collaboratore viene per lavorare e per imparare, ma non porta solo voglia di lavorare e due mani per fare esperimenti sotto dettatura. Porta anche un cervello che pone domande, propone soluzioni, individua nuovi obiettivi. E il capo, non solo trova un salario per il collaboratore, ma risponde alle sue domande, lo aiuta a capire, a perfezionarsi, dandogli un valore aggiunto, umano e professionale, che non è traducibile in denaro contante. Se tra capo e allievo si stabilisce un rapporto di piena fiducia, le cose funzionano, la collaborazione diventa sinergia e, come è sempre successo, buoni scienziati sfornano buoni scienziati. Altrimenti, la corrente si interrompe e si genera non sinergia, ma animosità. E, di questa, ce n'era stata fra Igor Suslov e Jacques Grifalconi. Tanta. Ma non abbastanza perché il capo volesse veder morto il suo collaboratore. Infatti, Grifalconi ancora non ci credeva. E, fedele all'insegnamento di San Tommaso, per crederci doveva vedere. Se non il cadavere, il luogo.

Parcheggiò come potè davanti all'Hotel Crillon e attraversò a piedi Place de la Concorde. Aveva piovuto tutto il giorno e tutta la sera, ma, adesso, la pioggia si era ridotta ad una nuvola lieve di goccioline che non gli davano fastidio e ovattavano i contorni della cupola d'oro degli Invalides. Sulla destra, lungo Rue Boissy d'Anglas, poteva vedere i furgoni della polizia di guardia all'Eliseo. Ce n'era un altro, isolato, più avanti, a sinistra, verso le Tuileries, parcheggiato di fianco al quai della Senna. Si avviò da quella parte. In giro, non c'era nessuno. Di fianco, gli sfilavano le casse ben chiuse dei bouquinistes. Sulla sua destra, al di là del parapetto, un salto di cinque metri fino alla banchina vera e propria che affianca la Senna. Ci si vedeva poco: la luce dei lampioni era schermata dalle foglie degli alberi e dalla pioggerellina. A fatica, poteva intravedere la figura di un flic, piantata nel punto in cui le scale (gradoni di pietra fissati dentro il muro che funge da argine) scendevano al fiume. Quando arrivò, il poliziotto lo guardò con diffidenza. «Vengo dalla centrale, il morto lavorava con me» disse Grifalconi. Il poliziotto parve un po' sorpreso, ma si strinse nelle spalle: «Giù non può scendere» disse soltanto.

Grifalconi si sforzò di guardare. Tre gradini più sotto si capiva che c'erano dei pacchi e dei fagotti indistinti, probabilmente un residuo dei lavori della scientifica. Gli parve anche di individuare una sagoma disegnata con il gesso sul gradino. Igor si era schiantato lì. Se si era lanciato per annegarsi nella Senna, doveva essere convinto di valere un olimpionico di salto in lungo. Forse non era stato a pensarci tanto e si era buttato sui gradini, perché gli era venuta la fretta di morire e non poteva aspettare di scendere al fiume. Se qualcuno ce lo aveva lanciato, dovevano essere in quattro e prenderlo per braccia e gambe per proiettarlo in avanti, come negli scherzi fra amici al mare. Comunque, ci avrebbe pensato dopo. Adesso che ci credeva, voleva solo mandare un silenzioso omaggio ad un uomo che aveva conosciuto e che era morto.

Grugnì appena: non ci riusciva. Non c'erano, dentro di lui, buoni sentimenti per Igor e c'era, invece, la sensazione che quello fosse solo l'inizio di un mucchio di guai. Sentendosi colpevole, abbassò lo sguardo. Si rese conto di aver acceso, senza accorgersene, una sigaretta, che ora stava fra l'indice e il medio della sua mano sinistra, abbandonata lungo il fianco. Lasciò perdere, non aveva voglia di entrare in lotta con se stesso sulla legittimità o meno di quella sigaretta. Ma si sentì ancora più colpevole. Si guardò le Clarks ai piedi, fermi al limite dell'immancabile cumulo di immondizie, ammassate  vicino al parapetto. Una parte del suo cervello si sforzava di pensare a Igor, ma l'altra parte, zitta zitta, stava catalogando, come da costume professionale, quello che vedeva: cartocci bisunti di patatine, bicchieri di cartone con la scritta Coca Cola, dépliant, volantini, tagliandi, giornali accartocciati, lattine di birra, cocci verdi di bottiglie di vino, un sandalo slabbrato, un ombrello con solo le stecche. Nella mente di Grifalconi, mentre proseguiva l'inventario, suonò un campanello di allarme, che si fece strada fino ad occupare tutta la sua attenzione. Qualcosa non quadrava. Ripercorse le immondizie. Sopra un cartoccio di patatine, in mezzo ad una raggiera di minuscoli frammenti di vetro ce n'era uno più grosso. Bianco, trasparente, con la forma di un angolo acuto che non c'è né nelle bottiglie di vino, né in quelle di Coca Cola. Grifalconi ne vedeva a decine ogni giorno, di vetri con quell'angolo. Ma lì, lungo il parapetto della Senna, stonava come una suora in un'assemblea di militanti per l'aborto. Era il collo di una beuta con il suo tappo di bakelite. Diede un piccolo calcetto al pacchetto di patatine. Dietro c'era un altro frammento di vetro trasparente, che sembrava la prosecuzione del primo.

Grifalconi lanciò un'occhiata furtiva al poliziotto. Ma quello si era stancato si sorvegliarlo e guardava una macchina che girava intorno alla piazza. Tirò fuori dal taschino del giubbotto un fazzoletto di carta come per soffiarsi il naso, si chinò rapidamente, avvolse il fazzoletto intorno ai due pezzi di vetro. Se li mise in tasca, di fianco alle gitanes, rialzandosi di scatto. Ci aveva messo, al massimo, un secondo. Il poliziotto guardava ancora la macchina.
- «Buona notte» disse Grifalconi.

Tornò verso la piazza. Adesso, svanito il tentativo di commuoversi, gli era tornata la rabbia verso Igor. Il  bielorusso era entrato nel suo laboratorio perché lui aveva bisogno di un paio di mani (e nulla più) per effettuare lavoretti relativi a noiosissimi test di pseudoattività cosmetica che le varie società del ramo giravano a Marcel Macheur e che Macheur, suo vecchio compagno di università e di prime ricerche, gli girava per aiutarlo ad andare avanti. Rispetto a quegli anni, Macheur sì, che aveva avuto successo. E soldi. Ma Grifalconi non lo invidiava per questo. I suoi traffici con le società cosmetiche odoravano più di truffa (con le società più che vogliose di abboccare, pur di avere prodotti da vendere) che di scienza. I contratti, però, doveva riconoscerlo, erano appetitosi. E, con questi contratti, portato e raccomandato dallo stesso Macheur, era arrivato Igor, biologo bielorusso, bel ragazzo, anche se minuto, faccione rotondo, capelli lisci e biondissimi, sorriso da eroe sovietico, concupito dalle donne.

Igor era uno che perdeva ore a sterilizzare pipette di vetro e beute, cilindri graduati e fiaschette di Erlen-Meyer, perché lui, alla plastica, non ci credeva e voleva lavorare solo con la vetreria, come si faceva in Europa e in America fino agli anni '70. Una mania che urtava i nervi di Grifalconi che, tra l'altro, non sopportava che Igor recuperasse, poi, di notte, le ore perdute ad autoclavare la sua batteria di vetri. Non tanto per senso del potere, ma perché, perdiana, un laboratorio di una società di biotecnologia non è un laboratorio universitario: ci sono esperimenti che costano milioni di euro e ci sono interessi industriali dell'ordine del miliardo. Non si può lasciar entrare chiunque. Così, Grifalconi aveva dovuto, prima, modificare il laboratorio per sbarrare l'accesso ai locali dove venivano condotti gli esperimenti più importanti e poi fare delle puntate notturne, per vedere chi c'era e perché. Anche adesso andava lì. Ma non per controllare le presenze. Quei frammenti di vetro lo avevano messo in agitazione. Già era strano che un biologo morisse in circostanze misteriose. Poi era strano che una beuta finisse sotto il parapetto di un lungoSenna. Ma che ci facevano, tutt'e due insieme, a pochi metri l'uno dall'altra? Era urgentissimo andare in laboratorio a vedere se a quei frammenti concavi di vetro ci fosse attaccato qualcosa di ancora più strano. D'altra parte, era il suo lavoro e, nei momenti di dubbio, uno si attacca a quello che sa fare meglio

Aveva parcheggiato davanti al Crillon ed ecco che, mentre apre la portiera della sua Toyota, lo chasseur dell'hotel viene a redarguirlo perché si era messo in un posteggio riservato.
«Riservato a quest'ora? Sono le due di notte. Ma vada a quel paese» si era infuriato. In realtà, era seccato per non aver pensato ad allungare un euro di mancia, ma lui e le mance non erano mai andati d'accordo. Data la situazione, avrebbe voluto partire rombando, ma la sua Toyota tossì. Lo chasseur del Crillon gli fece una smorfia e Grifalconi si mise a bestemmiare contro la malasorte che gli faceva scorrere davanti il pingue cash flow del laboratorio, mentre lui doveva rassegnarsi ad un'automobile di seconda mano.

Decise di seguire il percorso più veloce, dapprima sulle rive della Senna, lungo le Tuileries e il Louvre. Con la coda dell'occhio  vide il poliziotto di guardia ai gradini dove era morto Igor seguire la sua macchina con lo sguardo, ma, ormai, si stava rilassando. Gli era sempre piaciuto guidare di notte lungo il Boulevard de Sebastopole, quando non c'era il traffico a frenargli i pensieri. A sinistra il forum des Halles, a destra il Centre Pompidou. Due immagini di Parigi sfigurata dalla modernità: il vecchio ventre di Parigi trasformato in un immenso supermercato alla moda e il simbolo di cattivo gusto di un rinnovamento culturale pilotato dall'alto. In mezzo, le viuzze battute dalle prostitute più a buon mercato, una specie di bordello all'aperto, dove i sex shops avevano sostituito i negozietti di frutta e verdura. Di notte, va tutto liscio fino alla Gare de l'Est, poi bisogna rallentare in rue du Faubourg Saint Martin, fino alla rue Louis Blanc. Grifalconi si infilò nel Boulevard de la Villette, che poi diventa Boulevard de Belleville, dove c'erano i laboratori della Azofix. Erano i quartieri malfamati delle canzoni di Edith Piaf e Serge Reggiani, ma, onestamente, Grifalconi doveva ammettere di averli scelti solo perché l'affitto era più basso.

Parcheggiata la tossicchiante Toyota, Grifalconi salì in laboratorio per vedere cosa diavolo c'era nel liquido che aveva bagnato i frammenti di vetro trovati sul lungo Senna. Sciacquò i vetri in una soluzione di sali di Spizizen, divise la sospensione risultante in due parti: una la distribuì in piccoli flaconcini di plastica sterile, ognuno dei quali conteneva un millilitro di vari terreni di coltura, l'altra la strisciò sulla superficie di vari gel di agar, in capsule di Petri, preparate con terreno di coltura e diversi antibiotici. Messo il tutto ad incubare a 37 gradi centigradi, andò a sedersi davanti al suo microscopio, per vedere se c'erano microorganismi attaccati a quei pezzi di vetro. A luci spente, cominciò ad esaminare i campioni preparati e colorati per l'analisi microscopica e il fiato gli si strozzò subito in gola: quei microorganismi segmentanti sembravano proprio Bacillus subtilis, i batteri su cui stava lavorando da mesi e che erano la grande speranza sua e dell'Azofix. Si stava sbagliando, accecato da un accesso di paranoia? Si sistemò meglio sulla sedia per riesaminare i campioni, ma gli si troncò un'altra volta il respiro. Aveva sentito la porta aprirsi e un cinguettio femminile riempire il silenzio del laboratorio.

Spense immediatamente il microscopio e si acquattò dietro il deep freezer, un frigorifero gigante, grande quanto un armadio da corredo, capace di mantenere temperature di meno ottanta gradi, essenziali per conservare a lungo campioni biologici. In un'altra notte, anziché nascondersi, sarebbe saltato alla gola degli intrusi, ma quella notte, dopo quanto era già successo e con i sospetti che gli stavano venendo, decise di stare a vedere chi diavolo entrava e perché.
Era Corinne, naturalmente, una ricercatrice maledettamente carina e anche ragionevolmente brava, ma, sfortunatamente, troppo poco disposta ad impegnarsi sul serio sul lavoro. Insieme a lei c'era un giovanotto di una trentina d'anni, con i capelli addomesticati dal gel e una giacca che gridava «Armani!» da ogni bottone.
- «Che buffo - diceva con un risolino l'imbecille - questo è un laboratorio di biotecnologia? Che ci fate con tutti questi computer?»
- «Non toccare niente» gli diceva lei, impedendogli di prendere delle forbici su un bancone.
- «E che ci fate con le forbici? Ci tagliate i geni?»
- «Ti ho detto di non toccare niente! Non vedi l'adesivo giallo con i trifogli rossi? Vuol dire che è roba radioattiva».
A Grifalconi l'imbecille sembrava un po' troppo imbecille per essere vero.
- «Oh, insomma, Corinne, che ci vieni a fare di notte in laboratorio? Io credevo mi volessi far vedere la tua collezioni di farfalle».
Corinne ridacchiò. Poi, seria:
- «Gli esperimenti vanno fatti secondo protocolli precisi e io, invece, sono già in ritardo di due ore. Se Grifalconi scopre che non ho aggiunto, nel tempo previsto, la seconda razione di enzimi di restrizione alla reazione, mi fa un testa così».
Gli stava rifacendo il verso: «In biotecnologia, il tempo è danaro e adesso rischiamo di perdere un giorno intero».
Stronza. Ma brava.
"Speriamo solo che se lo sia portato qui perché vuole finire l'esperimento, prima di infilarselo nel letto" si diceva Grifalconi.
Ma il giovanotto continuava a girare nel laboratorio, apriva porte e toccava strumenti. Corinne gli urlò di non aprire quella porta, ma lui aveva già la mano sulla maniglia. Grifalconi stava per saltare fuori, ma Corinne riuscì a bloccarlo:
- «La vuoi capire che devi darmi retta? Quei locali sono in depressione, se no i microorganismi volano fuori e chissà cosa combinano».
Invece di sentirsi mortificato, il giovanotto prese Corinne fra le braccia:
- «Ma quali microorganismi, qui alla Azofix voi non fate un cavolo!».
Grifalconi avrebbe voluto che Corinne tagliasse la gola (con le forbici radioattive, possibilmente) a quel cretino. Invece la ragazza sorrise, si sciolse dall'abbraccio e gli disse gentilmente di sedersi un momento, mentre lei finiva il suo esperimento.
- «Senza il camice sterile?» chiedeva il giovanotto.
- «Oh, come rompi! No, questa notte non è ingegneria genetica, questa notte è biochimica. Sto isolando un gene»
Nel suo nascondiglio, Grifalconi bolliva:
«Se gli dice che gene è, esco e li faccio fuori tutt'e due».
Ma il tipo sembrava fregarsene completamente e continuava a toccare e a chiedere. «E questo cos'è? I vostri strumenti sono tutti uguali, tutti scatoloni metallici grigi senza bottoniOh, finalmente, qui c'è qualcosa uscito direttamente da un film di Frankenstein».
Il giovanotto stava in contemplazione davanti a un armadietto di vetro pieno di bechers, provette, beute, cilindri graduati, bottigliette quadrate, fiasche di Erlen-Meyer, termometri. Sul tavolo a fianco, una vaschetta di plastica con dentro dell'acqua, una serpentina, un motorino che ronzava piano e un arnese cubico di filo metallico, che non era un soprammobile di Arne Jacobsen, ma il posto per mantenere verticali una ventina di provette.
- «Non toccare, quello è il tavolo di Igor, a lui piacciono le cose all'antica, ha imparato la biologia ai tempi di Noè».
- «E tu che stai facendo»?
- «Alt! Segreto industriale. Aggiungo un reattivo ad una reazione e ce ne andiamo».
- «Che reattivo e che reazione?»
Adesso, fu la volta di Corinne. Mentre si toglieva il camice, gli si incollò addosso e lo baciò sulla bocca:
- «Fra mezz'ora potrai essere curioso finchè vuoi».
 
Uscita Corinne, Grifalconi si rimise con un grugnito al lavoro e, in poche ore, ebbe la conferma che i bacilli attaccati ai frammenti di vetro di Place de la Concorde erano i suoi: stesso spettro di sensibilità-resistenza agli antibiotici, stesso profilo di restrizione per una dozzina di enzimi, stessa capacità di formare colonie a bassa temperatura, stessa inserzione di stessa taglia nella stessa sezione del genoma. Non c'era più che da fare la sequenza, ma le conclusioni erano sicure. Quella beuta era arrivata al bordo della Senna, dritta dalla Azofix. E poteva averlo fatto solo insieme ad Igor. Possibile che ci fosse una relazione fra la beuta che si schianta sul muretto e la testa di Igor che si sfracella sul gradino? Anzi, possibile che non ci fosse?

Si allungò su una poltrona. Quei batteri erano capaci di fissare l'azoto sulle piante, dannazione, era pronto a metterci la mano sul fuoco. Grifalconi era convinto che, con quei batteri, la Azofix sarebbe diventata un gigante della biotecnologia mondiale. Erano la sua grande speranza. Erano la speranza della Azofix. Della Azofix versione Grifalconi. Più esattamente, meditò cupamente, di Grifalconi versione Azofix. Gli mancava solo la conferma ufficiale, ma, appena l'avesse avuta, tutti i suoi problemi sarebbero stati risolti. Solo che non c'era più molto tempo.

Naturalmente, lui aveva in mano un'altra carta. Si palpò la tasca dei pantaloni e tirò fuori un foglietto stropicciato. Era il biglietto del Loto. Quello della settimana prima: sapeva già di non aver vinto. Guardò la fila di numeri: gli stessi, ormai da mesi. Sembravano messi a caso, ma Grifalconi li aveva scelti, seguendo un preciso filo matematico. Peccato che la fortuna non avesse ancora mostrato di apprezzare tanta raffinatezza. Maledizione, quella stupida femmina bendata avrebbe fatto meglio a sbrigarsi. Si rilassò contro lo schienale. Quanto poteva vincere? Tutto quello che gli serviva erano 500 mila euro. C'erano state molte vincite superiori, naturalmente, lo sapeva benissimo. Ma 500 mila euro gli sarebbero bastati. La sua mente si mise ad almanaccare su possibili altre formule matematiche per i numeri del Loto. In pochi minuti era addormentato.


5. "La Bella Immagine" (AAVV): l'incipit del saggio "La Sfera e il Testo" (di Luca Siani)
Edito da Lab80 e Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell'Autonomia Scolastica
presto in distribuzione su richiesta nelle librerie specializzate

"Per rappresentare la tua e la mia filosofia che vuoi trovare di meglio di questa croce e di questa sfera? Questa palla è ragionevole. Il globo è logico è conseguente con se stesso Rappresenta nello sviluppo la tappa più alta La sfera è la perfezione è il frutto maturo finale."
(G.K. Chesterton, "La sfera e la croce")

Chiunque conosca Chesterton sa che i tagli qui proposti artificiosamente alla citazione tratta dal suo romanzo pubblicato per la prima volta nel 1910, fanno prevalere esattamente il contrario del suo pensiero - sulla vita e sulla realtà - che abbraccia con forza il simbolo della croce piuttosto che quello della sfera.

Ma questa è un'altra storia. Io qui vorrei tentare di affrontare non la vita e la realtà primaria quanto invece alcune idee sull'arte, le realtà secondarie - ed in particolare il Cinema -, la semiologia, il significato di testo e alcune di quelle attività che nel mondo della Scuola ricadono nell'ambito della cosiddetta educazione all'Immagine. E per ciò sono affascinato dall'idea della sfera che per me rappresenta al meglio l'idea di realtà/universi secondari

Forme geometriche chiuse, a tre dimensioni come la sfera, o a due come il cerchio, sono il modo con cui considero il testo - appunto, un insieme di segni (dotati di significato) legati in modo coerente in un ambito chiuso e delineato spazialmente e temporalmente (magari anche con un "inizio" e una "fine") - e le realtà secondarie che dalla realtà primaria procedono ad opera della creatività umana: sogno, fantasia, gioco, arte, fiction.

Credo che, anche dal punto di vista di una ricerca di definizione estetica, non si possa prescindere da un'idea di coerenza e di armonia - delle quali sono dotate sfera e cerchio - tra ciò che un testo (o un'opera) dice o sembrerebbe dire/volere intendere di sé e ciò che in realtà dice e comunica di sé, tra una volontà percepibile solo in alcuni dei segni del testo ed un significato integrale comunicato da tutti i segni che il testo contiene.

Ogni testo ha un suo nucleo, un insieme di leggi che fanno (se rispettate in ogni luogo del testo) della specifica realtà secondaria - dell'universo secondario che è il testo - una realtà credibile e funzionante e non piuttosto un bidone di idee e situazioni perse e accatastate senza bellezza e significato coerente.

L'Analisi dell'oggetto (testo) innanzitutto. La figura geometrica chiusa, il tentativo di sfera o di cerchio che è ogni opera cinematografica, che è ogni universo secondario individuale ed ogni singolo testo, ha poi ovviamente un linguaggio alla base. Proprio in quanto individuabile attraverso dei confini chiari e netti (geometricamente nell'idea di cerchio o sfera) il concetto di testo ci soccorre nell'analisi di un'opera: analisi che deve utilizzare quei segni legati fra loro all'interno del testo, piuttosto che altri dati esterni, seppur seriosissimi (ed inutili per lo più). Insomma, è necessario analizzare l'oggetto più che quel che vi sta fuori.

Il testo cinematografico (l'oggetto) detta il metodo di analisi. Per quanto riguarda il Cinema, studiosi "organici" hanno già benissimo detto quanto lo sguardo ed il punto di vista possano essere riconosciuti fra i cardini di questo linguaggio. E se quelli sono fra i cardine della struttura, logica vuole che per analizzare l'oggetto Cinema si debba innanzitutto conoscere il funzionamento di sguardi e punti di vista; riconoscere gli sguardi è un elemento fondante qualunque analisi scientifica di un'opera audiovisiva.

Il testo (l'oggetto) detta anche le griglie di lettura. La semiologia è un metodo di analisi della comunicazione all'interno dei testi che vuole ci si attenga ai segni, ma non è detto che il contenuto del testo debba essere letto solo in base a come funziona la comunicazione. Forse bisognerebbe sapere distinguere fra semiologia in quanto metodo di analisi testuale e semiologia come griglia di lettura. Sicuramente si può utilizzare la semiologia come griglia di lettura anche contenutistica (e non solo come metodo di analisi testuale) per opere che sono strutturate per parlare di come si comunica, per opere che indagano sul valore dello sguardo, dell'indagine, del rapporto fra chi guarda e chi è guardato, di testi che hanno fatto della struttura comunicativa del testo una vera opera d'arte: testi di metacomunicazione. Griglia di lettura di testi che parlano di come si guarda e del ruolo dello spettatore. Fra questi, in primis, i "gialli" (ma non ogni giallo!).

Jacques Aumont, l'autore de "l'Analisi del film", giustamente dichiarava: "Direi che la prima attitudine fondamentale dell'analista di film è quella di dimenticare tutto ciò che sa, per esempio che si sta analizzando un film di Welles, o di Wenders; dimenticare che è un film di genere; dimenticare tutto quello che si è letto nei giornali della produzione di questo film. E' necessario dimenticare: non dobbiamo arrivare ai film con un migliaio di aneddoti, che informano e inquinano la nostra visione. Cerco semplicemente di vedere e sentire quel che c'è, di trattarlo come un dato, nel quale cercherò di orientarmi come posso. Credo sia un'attitudine che è stata molto favorita dall'analisi testuale, e ciò che resta dell'analisi testuale oggi è che tutto è interessante in un film, perché non c'è una significazione data a priori.

Se si vuole mettere all'opera questa pratica dell'oblio bisogna dunque fare degli esercizi di oblio: raccogliere tutto quel che si sa di un film, e una volta fatta questa lista applicarsi a non utilizzarla subito, a tenerla di riserva. () Il materiale re-interviene solo quando si sono tracciate delle linee su quello che si studierà, sul film, sui suoi assi... Cioè quando si è iniziato a tracciare una mappa, a trovare dei percorsi, che vengono da quello che si vede e si sente, e per nulla da ciò che si sapeva già."

Rivitalizzare il testo. Insieme non bisogna parcellizzare e assolutizzare sempre tutto con analisi che rischiano di divenire delle autopsie più che dei rivitalizzanti approcci. Quel che so, dopo vent'anni di insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado, è che bisogna affascinare e fare vivere di nuova vita quel che normalmente abbiamo sotto gli occhi. La sfida è di mostrare in modo nuovo quel che abbiamo già visto 999 volte, mostrarlo senza raccontare un altro oggetto, diverso da quello che si sta analizzando, ma raccontando quell'oggetto in un modo da esaltarlo e da mostrarne gli aspetti più significativi, rivelando che quel che sapevamo dell'oggetto non era che una pallida ombra dell'interezza dell'oggetto stesso.

Sempre da Chesterton (Il Napoleone di Notting Hill): "C'è una legge segnata nel punto più oscuro del libro della vita ed è questa: se voi guardate una cosa novecentonovantanove volte voi siete perfettamente al sicuro; ma se la si osserva la millesima volta, si può andare incontro all'orribile rischio di vederla per la prima volta"


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